LA GIUSTIFICAZIONE

  

La condanna dell’uomo rese necessaria la sua giustificazione. La giustificazione non è un’assoluzione per mancanza di prove, ma l’assoluta mancanza di colpevolezza poiché l’accusato non è colpevole e l’accusa è stata elevata a torto contro di lui. Chi sta davanti al tribunale non ha commesso nulla, è semplicemente apparso un accusatore che poi non ha potuto fare nulla contro di lui, perché non c’era nessuna colpa da poter provare. L’accusa è stata respinta, il pubblico ministero ha dovuto chiudere gli atti, il processo è stato archiviato.

Da un lato l’uomo è diventato colpevole davanti a Dio e, di conseguenza, ha bisogno di perdono, dall’altro c’è la giustificazione nel senso divino: Dio vede gli uomini ai quali ha rimesso i peccati in Cristo come se non avessero mai peccato. Un proverbio dice: «Perdonato, ma non dimenticato!». Anche se ci perdoniamo del tutto e di vero cuore gli uni gli altri, ricordiamo sempre le cose di prima. Per Dio, non è così: Egli ha perdonato i peccati e non se ne ricorda più. Nessuno ha il diritto di tirar fuori dalla vita di un uomo ciò che Dio ha giustificato, chi lo fa si rende colpevole e annulla per sé il perdono e la giustificazione divina.

Poiché l’uomo è nato in questo stato di peccato senza poter fare nulla, Dio prese su di Sé nel Figliuolo la condanna che aveva dovuto giustamente pronunciare tramite la Sua legge e, mediante la Sua espiazione, operò la piena giustificazione dell’uomo. “Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo pace, è stato su lui (Gesù), e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione” (Is. 53:5).

Nelle sue epistole ai credenti di Roma, l’apostolo Paolo ha insegnato minuziosamente la giustificazione biblica e ha mostrato come la si può ricevere e sperimentare. Riferendosi all’Evangelo di Gesù Cristo e alla giustificazione, Paolo scrive: “Poiché io non mi vergogno dell’Evangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza d’ogni credente; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, secondo che è scritto: Ma il giusto vivrà per fede” (Rom. 1:16-17).

Dio non ha soltanto salvato l’uomo dalla morte e dalla perdizione, ma l’ha completamente giustificato restituendogli la giustizia divina. La brama di una giustificazione tramite proprie opere che si trova nell’uomo, non è più necessaria, perché abbiamo ricevuto la giustizia di Dio. La nostra giustizia non vale nulla davanti al Signore e può essere il nostro più grande ostacolo. Sta scritto: “Poiché per le opere della legge nessuno sarà giustificato al suo cospetto” (Rom. 3:20).

Mediante l’azione sovrana di Dio, l’uomo è stato tratto fuori dallo stato di perdizione al quale era condannato ed è stato riportato nella sua posizione originale davanti a Dio. Questo è il nocciolo dell’Evangelo di Gesù Cristo. Dio non ci ha soltanto perdonati, ma ci ha giustificati, dandoci perfino la Sua giustizia. “… vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti i credenti… difatti, tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, e sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Rom. 3:22-24).

A questo punto non rimane spazio per le proprie opere che conducono ad una propria giustizia, dobbiamo far largo al Messaggio divino, all’Evangelo di Gesù Cristo. In realtà è il Messaggio divino che rende liberi e felici e deve essere annunciato nel mondo intero. L’umanità è stata riconciliata con Dio. “… per dimostrare, dico, la sua giustizia nel tempo presente; ond’Egli sia giusto e giustificante colui che ha fede in Gesù”. Non la fede in un fondatore di religione o in una confessione religiosa opera la giustificazione divina, ma la fede in Gesù, poiché è in Lui che Dio e l’umanità si sono incontrati e riconciliati. Le opere pie non contano nulla: “… poiché noi riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede, senza le opere della legge” (Rom. 3:26, 28).

L’apostolo era talmente preso dal pensiero della giustificazione che ha illuminato questo tema in modo esauriente. L’epistola ai Romani, dal capitolo 3 al capitolo 8, dà un’ampia introduzione al piano di salvezza di Dio. Ognuno ha semplicemente bisogno di accettare nella fede ciò che Dio ha dato e di ringraziare Dio per questo. Chi tenta di essere giustificato per mezzo delle proprie opere non potrà mai riconoscere l’opera perfetta compiuta dal Signore nel suo vero e pieno significato. Ciò che si fa da sé, impedisce di vedere ciò che Dio ha fatto. “… mentre a chi non opera, ma crede in colui che giustifica l’empio, la sua fede gli è messa in conto di giustizia” (Rom. 4:5).

Mediante la vita di Abrahamo viene data una lezione d’importanza vitale: infatti, colui al quale Dio si rivolge e riceve la parola della promessa, non guarda a sé stesso e alle particolari circostanze, ma crede di cuore ciò che Dio ha detto. Vede ciò che è stato promesso benché non ci sia ancora, dà gloria a Dio e vive nella certezza di fede, nella piena convinzione che Dio realizzerà quanto ha promesso.

Nell’epistola ai Romani, Paolo continua dicendo: Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore…” (Rom. 5:1). Egli mostra che “… abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia, nella quale stiamo saldi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; e non soltanto questo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni…” (Rom. 5:2-3); poi ritorna al nocciolo della giustificazione: “Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira” (Rom. 5:9). Continuamente viene messo l’accento su ciò che è essenziale: non una qualunque fede in una qualsiasi cosa, ma la fede in Gesù Cristo — in Colui che è stato crocifisso — e nella redenzione compiuta tramite il Suo sangue prezioso e santo.

Riassumendo l’apostolo Paolo scrive: “Come dunque con un sol fallo la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così, con un solo atto di giustizia la giustificazione che dà vita s’è estesa a tutti gli uomini. Poiché, siccome per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’ubbidienza di un solo, i molti saranno costituiti giusti” (Rom. 5:18-19). Com’è certo che da una parte, constatiamo che la condanna da Adamo in poi ha colpito tutti gli uomini, così è certo che dall’altra, possiamo credere che questa condanna è stata annullata, che siamo stati graziati e completamente giustificati davanti a Dio.

Nel capitolo 6 della stessa epistola ci viene fatto vedere che siamo diventati una stessa cosa con Cristo per una morte somigliante alla Sua e, perciò, siamo stati crocifissi, seppelliti e risuscitati con Lui ad una vita nuova, divina.

Il capitolo successivo di questa epistola mostra l’uomo nel suo totale abbandono. L’uomo si vede ingannato dal peccato e sente la durezza della legge divina. Solo dove c’è una legge ci può essere trasgressione. Senza la legislazione ricevuta sul monte Sinai con tutti i comandamenti e tutte le prescrizioni, l’umanità non avrebbe saputo ciò che è giusto. La legge è stata data affinché l’uomo fosse conscio delle trasgressioni. Il giusto Giudice ha condannato tramite la Sua legge e, quale Redentore, ha reso grazia e misericordia. “… la misericordia trionfa del giudicio” (Giac. 2:13).

L’uomo è conscio della sua schiavitù, di essere cioè schiavo di abitudini, concupiscenze, e così via, fino al grido dell’anima: “Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che voglio, ma faccio quello che odio… Difatti io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita alcun bene; poiché ben trovasi in me il volere, ma il modo di compiere il bene, no… Misero me uomo! chi mi trarrà da questo corpo di morte?” (Rom. 7:15-24). Ogni uomo, quando si converte al Signore, deve vivere questo travaglio interiore, perché senza di esso, nessuna conversione è possibile.

Solo dopo segue ciò che è descritto nel capitolo 8 quale realtà divina vissuta. L’uomo giustificato mediante la fede in Gesù Cristo e nella Sua opera di redenzione, può esclamare: “Non v’è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Rom. 8:1), perché hanno trovato pace con Dio e sono entrati nel Suo riposo.

Satana, l’accusatore dei fratelli (Apoc. 12:10), e coloro che si mettono a sua disposizione, elevano continuamente accuse contro coloro che sono diventati credenti e che sono stati giustificati. L’apostolo Paolo prende in considerazione anche questa situazione: “Chi accuserà gli eletti di Dio? Iddio è quel che li giustifica. Chi sarà quel che li condanni?” (Rom. 8:33-34).

In verità, la reale giustificazione non si esaurisce in un esposto dottrinale, ma deve essere un’esperienza vissuta. La giustificazione è la seconda parte del perdono. Dio dovette condannare l’uomo, perché era diventato colpevole, ma in virtù della redenzione tramite il sangue dell’Agnello, il debito del peccato è stato estinto. Non possono essere elevate altre accuse, anche se Satana ci prova continuamente. Fece dei tentativi anche con Martin Lutero il quale, dopo aver ricevuto la certezza della fede, esclamò: “Il giusto vivrà per fede!”. La giustificazione divina proviene unicamente dalla fede nella piena redenzione compiuta da Gesù Cristo.

Come l’uomo alla conversione si volge verso Dio, sperimentando la fine della propria vita e, tramite la nuova nascita, l’inizio della nuova vita divina, così è per il perdono che è collegato con il soffrire e il morire di Cristo e alla giustificazione che è connessa con la risurrezione e la vita di Dio. “… Gesù, nostro Signore, il quale è stato dato a cagione delle nostre offese, ed è risuscitato a cagione della nostra giustificazione” (Rom. 4:25). Com’è certo che Gesù morì, così è certo che il peccato è stato perdonato, com’è certo che Gesù risuscitò, così è certo che siamo stati giustificati una volta per sempre.

L’apostolo Giacomo mostra come la fede di colui che è stato giustificato da Dio in ciò che Dio ha detto, trova il compimento nelle opere tramite la relativa ubbidienza: “Tu vedi che la fede operava insieme con le opere di lui, e che per le opere la sua fede fu resa compiuta; e così fu adempiuta la Scrittura che dice: E Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia; e fu chiamato amico di Dio” (Giac. 2:22-23).

Non sono le opere che giustificano l’uomo; esse sono soltanto una parte di colui che è stato giustificato tramite la fede. Chi crede in Dio agisce secondo quel che ha comandato. Abrahamo credette che Dio avrebbe risuscitato dai morti suo figlio Isacco ed era pronto ad offrirlo in sacrificio come gli era stato comandato. A cagione della sua fede, l’ubbidienza non gli era difficile. L’apostolo Giacomo non si riferisce alle opere che gli uomini fanno arbitrariamente pensando così di raggiungere qualcosa davanti al Signore, ma soltanto a quelle che vengono fatte secondo il comandamento e la Parola di Dio. Chi crede realmente fa quello che Dio ha detto. Gesù disse: “Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando” (Giov. 15:14). È così che la fede “respira” ed è vivente.

L’uomo giustificato per mezzo della fede in Gesù Cristo sta davanti a Dio come se non avesse mai peccato. È stato riportato allo stato primiero e alla destinazione eterna e aspetta semplicemente il mutamento del corpo e il compimento. Chi crede veramente lo dimostrerà con gioia tramite la sua vita e i suoi atti, dunque mediante la sua ubbidienza, come fece Abrahamo. Nel capitolo 12 della lettera agli Ebrei, i redenti vengono mostrati quali giusti resi perfetti: “… ma voi siete venuti al monte di Sion, e alla città dell’Iddio vivente, che è la Gerusalemme celeste, e alla festante assemblea delle miriadi degli angeli, e alla Chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli, e a Dio, il Giudice di tutti, e agli spiriti dei giusti resi perfetti…” (Ebrei 12:22-23).

 


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